Angelo Cortese

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Pittori

I contenuti qui di seguito riportati, sono a cura esclusiva dell'artista

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Angelo Cortese nasce a Siracusa nel Dicembre del 1941. Studia presso la scuola d’Arte di Siracusa e l’Istituto Statale di Palermo. Dal 1960 frequenta per quattro anni il corso di scenografia presso le Accademie di Firenzee Roma. Dal 1964 insegna decorazione pittorica presso l’Istituto Statale d’Arte di Siracusa e poi di ruolo presso l’Istituto Statale d’Arte di Catania. Nel 1967 partecipa alla fondazione del centro culturale, galleria d’Arte "Quadriga", ed insieme ad altri artisti siracusani, svolge un’intensa attività artistico-culturale in vari centri d’Italia. Nel 1977 frequenta la galleria d’Arte "New Gallery" di Catania, stabilendo un sodalizio con Francesco Gallo, che lo introdurrà nell’ambiente artistico catanese. Nello stesso anno frequenta il centro di grafica Alzaia Naviglio grande a Milano, e in quegli anni matura il suo interesse per le tecniche calcografiche, che lo terranno impegnato per lungo tempo alla produzione di cartelle di grafica. Nel 1984 Giuseppe Frazzetto lo invita alla formazione del Gruppo Ionico, e insieme a Sebastiano Italia, Giuseppe Sciacca e Armando Tantillo svolgerà un’intensa attività artistica presso la galleria d’Arte Club di Catania. Nel 1990 Paolo Giansiracusa lo segnala al premio Aldo Roncaglia XXIII edizione, S. Felice sul Panaro, che farà il punto della situazione sull’arte colta in Italia, ed ancora con Giansiracusa sarà impegnato in una serie di progetti artistico-culturali nell’ambito del territorio nazionale. Negli anni 90 instaura una lunga serie di rapporti a Catania con la Galleria d’Arte il Sale di Elio Graziano, e a Siracusa con la Galleria d’Arte il Quadrifoglio, di Mario Cucè. Nel 1998 lascia l’insegnamento e si dedica esclusivamente alla pittura. Nel 2002 inizia a frequentare il centro culturale l’Arco e la Fonte di Siracusa che gli organizza la personale: “Forme della Memoria” e nel 2003

RECENSIONI

Quattro tesi su Angelo Cortese di Francesco Gallo 1 - Recupero della funzione estetica. Angelo Cortese opera un recupero della funzione estetica applicando alla materialità del colore e delle forme una realtà metafisica che trascende la diacronia della parzialità esistenziale per recuperare la sincronia di una totalità armonica dove avviene la coincidenza degli opposti, la frantumazione della memoria, e tutto si svolge nella contemporaneità. È la dialettica dell’immagine che genera altra immagine per sovrapposizione o sottrazione di materia che occupa, e nello stesso tempo non occupa lo spazio, perché è spazio essa stessa. Avviene così nel mito dell’eterno ritorno e della circolarità, l’attualizzazione della forma fantasmatica che appare nell’intermittenza della visività, che poi non è altro se non l’intermittenza dell’anima nel processo di riconoscimento della propria essenza, che è un’essenza operandi. 2 - Dinamica della forma come diacronia dell’impossibile. La forma è colta nel movimento ed è dominata dalla visione parabolica della traiettoria: è la parabola della molteplicità dell’articolarsi, del distendersi, del contrarsi, dell’organizzarsi cosmico e dell’esplodere nel caos. È una diacronia dell’impossibile percezione mondana dei dialoghi interiori dell’io con se stesso. È la contrapposizione di due mondi, di due universi; quello interiore governato dalle contraddizini dialettiche autogeneranti e quello esteriore governato dal contrasto tra diverse realtà esistenti per se stesse. 3 - Analisi del colore come scomposizione del totale visivo. Il colore nella sua composizione e nella sua scomposizione diviene il luogo di un’indagine sul totale campo della visualità e della visibilità. Si tratta di un’analisi senza meta e senza punto di partenza che sia veramente tale; questo perché non c’è una oggettività che sia anche fissità, momento primo della genesi formale. È una ricerca di verità che non ha corrispondenza con la vita materiale ma solo con quella dello spirito; è la verità autonoma della pittura che si concretizza kleianamente nel rendere visibile l’invisibile e nel fare coincidere il tempo con l’assenza di tempo. La visibiltà di Cortese è di carattere scalare e suggerisce una concettualizzazione di tipo musicale che fa da cemento alle diverse apparenze dando loro l’afflato poetico e lirico. Afflato che si incarica di portare nel campo linguistico tutti i possibili residui di carattere etico o teleologico che sono necessariamente presenti nel pathos dell’artista ma che devono essere assenti dalla composizione artistica, pena la decadenza nel fenomenico e nel superficiale. 4 - Tecnica evocatoria come processo di ricomposizione del dato conoscitivo con il dato ludico. Una caratteristica del modo di lavorare di cortese è quella di fare riferimento ai due momenti di fondo della pittura: quello del pensiero che concettualizza per immagini e per intuizioni cromatiche cerebrali, e quello della manualità che nel tradurre un altro da sè utilizza una grammatica ed una sintassi che sono il frutto di una accumulazione di carattere storico. Pensiero e manualità si incontrano nella successine di stati d’essere che si concretizzano in un oggetto di riferimento concreto e temporale, mentre una successione spaziale implica una molteplicità di soggetti evocati in trasparenza o dati come enigmatici volti. Sono questi i soggetti di una sintassi compositiva che divengono protagonisti in grado di esprimere una loro precisa individualità. Si tratta in vero di una individualità che è soggettività storica ma è anche diffusa oggettivazione collettiva di tipo antropologico. Cortese tenta una sintesi fa questi due momenti, che poi è la sintesi di natura e cultura, attuata da un’arte consapevole di generare un realtà di primo grado e un messaggio liberato da residui di riscontro con i dati formali pre-compositivi. Ovviamente questo messaggio liberato non è messaggio più di quanto non sia codice: è nuovo gusto, nuovo senso di libertà ma soprattuttoè progetto estetico e invenzione. Nuovo senso di libertà e prgetto estetico non significano negazione del diverso ma significano autorizzazione ad una creativa ricezione dell’opera d’arte, senza che ciò implichi sottovalutazione dell’opera in sé in quanto espressione dello spirito più profondo del proprio tempo, quello che tace mentre la superficie è piena di rumori; ma mentre i rumori superficiali sono vacuità, le strutture di fondo raccolgono l’ontologia dell’esistenza. Sottovalutare questo “in sé” dell’opera equivale a sottovalutare l’atto creativo che l’ha prodotta, ciò che è “nuovo del nuovo” e non distinguere tra l’atto creativo poetico e l’atto creativo critico. Emerge dalla tecnica evocatoria della svelatura sibillina, la duplicità del dato conoscitivo (di quella particolare conoscenza che è l’immagine) da quello ludico e puramente combinatorio che è dato dall’esito dell’automatismo del gesto operante sul progetto frutto dell’invenzione intelligente. La carica di evocazione e quindi di magia che ne è causa ed effetto, non è solo affidata al fiorire di volute, triangoli inquietanti, ellissi, e al sorgere di volti fantasmatici, ma è più radicalmente situata nell’impianto stesso dell’insieme e ordinata da correlazioni dinamiche date dall’impulso più arcano ed interiore dell’artista.