RECENSIONI
ECCO, GIANLUCA CAVALLO
La cultura contemporanea si è liberata della cultura moderna, della sua prassi ribelle, necessaria per far decadere la cultura classica o quella precedente. La cultura del moderno ha combattuto guerre linguistiche clamorose per introdurre concetti di libertà espressivi e innovativi, radicali, rivoluzionari. Grazie alla comunicazione interplanetaria il pensiero contemporaneo può finalmente elaborare concetti creativi di vera libertà espressiva e di comunicazione alla gioia. Non esiste più un modello di riferimento ma una memoria universale, da respirare e da vivere. Riempirsi di mondo vuotarsi di mondo. Colmarsi di mare e liberare tutte le onde possibili. Mangiarsi un vulcano e vomitare lune, ma, anche, trattenere terre tra le mani e attendere che nasca il paesaggio. La Monna Lisa coi baffi di Duchamps dal titolo ironico “lei ha il fuoco sulla coda” e Le Demoiselle D’Avignon di Picasso sono le due opere d’arte, che , circa cento anni fa, hanno rotto i canoni estetici e ci hanno proiettato in una dimensione di linguaggio dove il bello, il buon gusto, non faranno parte più della ricerca artistica. Ai pittori sono venuti i brividi. L’artista ha cercato dentro di se i soggetti da creare. Perfino i ritratti sono stati e saranno dipinti a memoria. Questo il paradiga di ripartenza dell’arte che da moderna si trasforma, per sempre, in contemporanea.
Con la transavanguardia, poi, si esaurisce la ricerca d’avanguardia e si liberano i linguaggi. E’ possibili adoperare ogni tecnica, qualsiasi formato, ritorna la figura, il paesaggio, la natura con tutti i suoi oggetti. Ci troviamo di fronte ad una pittura intelligente, qualche volta inquietante, sicuramente liberata.
Ecco Gianluca Cavallo, trentun’anni, giovane e vecchio insieme; forte nel fisico, dagli occhi ispirati. Sicuramente, è dotato, ha una gran voglia di dipingere. Ha creato dipinti per la sua chiesa di Sassano e questa avventura coraggiosa è ancora segnata ed è trasmessa nel suo sguardo. Sono curioso e interessato a studiare questo lavoro per capire se il luogo comunica un sacro reinventato.
E’ proprio giusto invitare artisti giovani ad esporre le loro opere qui nelle sale della Provincia, a mostrare e mostrarsi, a comunicare un’esperienza ad un gran numero di persone, per crescere e ripartire su paradigmi più rivoluzionari. Intanto Gianluca Cavallo ci mostra opere di diversi formati e questo e’ importante poiché la scelta del campo pittorico: piccolo, medio, grande, gigante, la sua orizzontalità o verticalità marcata è già una lodevole spinta di ricerca per trovare ispirazioni pittoriche inusuali. Notiamo pure il suo interesse a dipingere in diversi modi e tecniche. Parimenti diversi sono i temi affrontati. Come se in ogni opera si tuffasse in un piccolo burrone. L’artista lavora senza modelli prefissati, soggetti e oggetti preparati in studio. Crea a memoria e già questa metodologia lo proietta in un’area di contemporaneità obliqua. Parte bene.
Ugo Marano
Sovvertendo la gerarchia che impone, in pittura, il piano come dimensione spaziale e principio fondante della rappresentazione, Gianluca Cavallo sperimenta una visione prospettica “zenitale”.
Originale ed eccentrica, straordinariamente potente nelle suggestioni spaziali che capovolgono di continuo il fuoco della composizione, dall’alto in basso e viceversa, la sua è una prospettiva da webcam, a fatica compressa entro i limiti imposti dalla tela, fosse anche raddoppiata o estesa fino a raggiungere misure da grande pala d’altare o perfino da murales.
Ed in questa tensione latente, fra ciò che è visibile entro lo spazio finito del supporto ed il più ampio orizzonte della realtà che in esso si muove, prendono forma e sostanza le infinite varietà del sentire umano.
L’incomunicabilità della coppia ne Gli insofferenti, promessa d’amore infranta come in una scomposizione cubista e poi riassemblata con vividi tocchi di luce che isolano i due corpi, consegnando ciascuno alla propria solitudine in una dimensione spaziale che è reciproca distanza siderale.
Il sentimento della paura ne Il limbo, onirica proiezione di un aldilà che trova il suo limite razionale nella visione da sotto in su del paziente disteso sul letto chirurgico di una sala operatoria; o ancora ne L’ascensore, terrifica immagine capovolta del senso di vertigine, degna di una regia alla Cronenberg.
La violenza dell’ira in La rissa, sapiente rilettura in chiave moderna delle battaglie di classica memoria, in cui è sovrana la tensione emotiva che agita la folla magmatica, azzerando la ragione ed ogni sua plausibile motivazione.
In questo senso la pittura di Cavallo è racconto complesso e avvincente, mai appiattito sulla trama del soggetto prescelto che è solo lo spunto, l’inizio di un più ampio discorso sulle potenzialità del linguaggio artistico, peraltro condotto con sorprendente qualità in termini di disegno e di scelte cromatiche.
Ciò che colpisce, su tutto, è la sensibilità luministica con cui l’artista costruisce lo spazio e, in esso, le relazioni profonde tra i corpi: una luce siderale che pone l’osservatore allo zenit della composizione, costringendolo ad una visione critica della realtà e, per questo, costantemente dialettica.
E in questo capovolgimento della proiezione prospettica, nell’ardita proposizione di uno “sfondamento” dall’alto che invertendo i poli dell’illusionismo barocco riconduce l’occhio e la mente alla dimensione umana e terrena, alla sua incessante ricerca di un orizzonte che travalichi il limite della propria condizione esistenziale, appare evidente la forza del messaggio dell’autore, la sua indubbia originalità e, per molti versi, il senso di profonda religiosità del suo impegno di artista.
Fulvia Strano
Gli angeli stanchi di Cavallo
Di scena, fino al 30 Luglio, “TeleSerie 5708-13309 in prossimità del fuso orario” di Gianluca Cavallo.
Il giovane artista salernitano riapproda con la sua personale a Roma alla Galleria Horti Lamiani Bettivò. Ombre portate sulla parete di una spelonca, i soggetti che incornicia nelle sue serie tele.
Con toni decisi e tratto duro costringe l’osservatore ad un punto prospettico individuale, sensibile, e fa rivivere la tragicità dei suoi personaggi.
Troppo grandi e vicine le ombre di “Clarissa D.”, stretta nell’inquadratura. Amplificate le proporzioni reali dei piaceri e dei dolori de “Gli eliminatori”. Il pittore spezza le ali, tiene sospesi con candore “Gli angeli stanchi”, per rievocare nostalgicamente il conflitto dell’anima, sospinta da nobili ideali, ma ancorata a terra per infime passioni.
Alto e basso, sopra e sotto, non sono luoghi fisici, qui, ma le direzioni di un pensiero, il senso di una scelta.
Cavallo specula, riflette la sua idea di bellezza, con “Narciso”. Ci ricorda forse che quella patologia, che Platone chiama Eros, fa soffrire?