RECENSIONI
Forme lievi, che ricordano corpi femminili. Morbide curve, che delineano figure che si stagliano verso il cielo, si librano nell'aria, che suscitano pura emozione, lo stupore di qualcosa di sorprendente, di inaspettato che colpisce gli occhi e il cuore. Il bianco del marmo, il candore della bellezza, il fuoco che vien fuori dalla materia, lavorata con amore e passione per mesi, senza sosta e senza interruzione. Da sei anni, Emanuele Rubini, ha dato forma alle emozioni, creando opere straordinarie, plasmando come se si trattasse di argilla, il marmo bianco di Carrara o il bronzetto di Trani nel suo laboratorio a Bitonto (Ba), città dove vive con la sua famiglia. Per ore, tutti i giorni, privilegiando la notte, Rubini, che usa solo mazzola e scalpelli, così come avveniva in passato nelle antiche botteghe degli artisti, modella questi enormi blocchi di svariate tonnellate, spesso tracciandone i contorni direttamente sul marmo. La sua avventura è cominciata prima realizzando oggetti di design di arte contemporanea, per poi proseguire con una delle sue opere più belle, "Cleopatra": circa trenta quintali di marmo Bianco Carrara, un'opera nella quale si ritrovano i tratti della sensualità femminile, in cui l'eleganza si sposa con la maestosità, l'imponenza, la raffinatezza. Preziose sculture, preziose per l'uso di materiali pregiati, preziose perché capaci di suggerire una gamma di sensazioni, di unire la classicità all'avanguardia, di unire il passato al futuro: un'arte vissuta come urgenza, come necessità di far uscir fuori un magma incredibile che si muove nell'animo, che si trasforma in immaginazione materica. Il percorso artistico di Rubini si snoda successivamente in altre meraviglie, come "La danza", "Fiamma", "Eva", "Bora", e "Venere", creazione questa che si potrà ammirare nel Teatro Umberto I di Bitonto. Quello che accomuna l'ispirazione non è solo la femminilità, da quella dolorante nel momento in cui da origine alla vita, a quella eterea, trasfigurata ma anche il sentimento d'amore nella sua accezione più alta, in quella comunione di corpi e mente, così come accade in "Eros", in cui si ritrovano senso e spiritualità. Spiritualità terrena che ritroviamo anche in "Gemma", che racchiude un volo, la libertà e la levità di un corpo sospeso nell'aria. E dopo anni di lavoro, in cui Rubini era praticamente sconosciuto, arriva un importante riconoscimento, il primo sicuramente di una lunga serie, la medaglia di bronzo del Senato della Repubblica nel prestigioso Premio Internazionale d'Arte Contemporanea San Crispino a Porto Sant'Elpidio organizzato dall'Amministrazione Comunale e dal Centro d'arte e cultura La Tavolozza, con l'Alto patronato della Presidenza della Repubblica, il Senato, il Ministero per i Beni e le Attività culturali, la Regione Marche, dell'Amministrazione provinciale di Ascoli Piceno, dell'Ambasciata in Italia della Repubblica Slovacca e del Parlamento Europeo. Una vetrina internazionale, alla quale hanno partecipato artisti italiani e stranieri selezionati da un'apposita giuria della quale faceva parte: il critico d'arte slovacco L'uboslav Moza, direttore artistico della galleria d'arte Merum (Modra), la responsabile Estero Marianna Jurcova, la coordinatrice Stella Calvani, e la direzione artistica di Daniela Simoni referente per la Presidenza della Repubblica, dove Rubini ha presentato quattro delle sue opere ("Gemma","Ghibli", "Fiamma", e "Il tuffo"). Il 18 febbraio 2005 nella cornice del Teatro Petruzzelli Circolo Unione (Bari) alla presenza dell'On. Avv. Marcello Vernola (Parlamentare europeo), Dott. Raffaele Fitto (Presidente Regione Puglia), Barbara Facchini (giornalista "Bari Sera"), Ugo Sbisà (giornalista "La Gazzetta del Mezzogiorno"), Italo Interesse (giornalista "Quotidiano di Bari"), Lello Spinelli (critico d'arte), nell'evento della presentazione dell'ultimo libro edito da Giuseppe Laterza, scritto da Anna Gramegna ("Dietro il Chador"), Rubini presenta in marmo bianco Carrara dal peso di due chili, l'opera omonima "Dietro il Chador" che, armoniosa, su esili appoggi corporei, sembra librare in alto.
Adesso Rubini, appena rientrato da Sant'Elpidio, entusiasta di questa esperienza e dell'interesse suscitato nel pubblico e nella critica, è pronto ad una nuova sfida: ha già in lavorazione una nuova opera, a cui si dedicherà nei prossimi cinque mesi. Per il momento, tutto rimane top secret.
Una cosa è certa: anche questa volta, dice Rubini,"voglio suscitare emozione.
Gilda Camero
giornalista del quotidiano "Bari Sera"
EMANUELE RUBINI
Nel Novecento italiano tre i periodi, con ascendenze culturali diverse, delle arti plastiche con posizioni più o meno predominanti di alcuni artisti (Modigliani e Boccioni negli anni 1910 - 15), Arturo Martini nel periodo tra le due guerre (1914 - 45), Manzù e Marini dal 1930 in poi la cui influenza culturale fu notevole anche per i giovani maturatisi nel secondo dopoguerra ai quali si contrapporranno quelli aderenti al cosiddetto "astrattismo" nelle sue poliedriche e diverse angolazioni (Spazialismo, strutturalismo, espressionismo, surrealismo, ecc.) con maggiori possibilità di chiarezza formale e di intensità di espressione pur nello sconcertante manifestarsi di alcuni proseliti, specie quelli non impegnati nella figura umana (Lardera, Mirko, Viani e tanti altri) consapevoli della possibilità, per la scultura, di uscire da obsoleti mezzi neo umanistici, neo romantici, archeologici e del tardo naturalismo rinascimentale che, nel 1945, avrebbero portato lo stesso grande sperimentatore di stili, Arturo Martini, due anni prima della sua morte, a dichiarare ormai finita la possibilità di fare scultura. In realtà la scultura moderna non ha una lunga storia in quanto la moderna concezione dello spazio e della forma (Moore, Fontana e altri) si è sviluppata specialmente nella pittura (si pensi a Degas, Renoir e ancora a Matisse e a Picasso) che cercavano di realizzare plasticamente le "nuove strutture" di forme e di immagini.
Continuava così la storia a camminare sulle gambe degli uomini e la scultura, legata per antica tradizione al pensiero stesso della storia, fu essa ad indagare quale poteva e doveva essere il valore della esperienza storica nella coscienza moderna e, con essa, il senso della esistenza umana nel mondo. Storia come poesia, come mito, come sollecitazione interiore, come misura stessa del tempo e dello spazio ideali in cui si svolge, si situa e si compie la vita, in una sorte di nuovo umanesimo che è la verità stessa cui tende la ricerca d'oggi con il suo potere di espressione da contrapporre ad un inesistente ideale di bellezza e con il rifiuto del contingente per aspirare all'assoluto. Sin dalle prime opere di Emanuele Rubini si avvertono le sceneggiature sapienti, il gioco sottile e insinuante dei volumi che conducono a esiti rarefatti nel morbido fluire dei ritmi, una ripresa mediterranea non immemore della grande lezione di Henry Moore (i toni scanditi e solenni). Un andar libero delle forme nello spazio lo porteranno, alcuni anni dopo, ad un procedimento di scavo del masso per disegnare uno spazio interno ed esterno secondo principi formali che tendono a sottolineare la sua stessa tensione alla sintesi e le pulsioni dialettiche della scultura che Rubini intende come "forma" che definisce la dimensione aurea dello spazio in cui l'opera andrà a collocarsi. La materia (il marmo di Carrara, la pietra di Trani, il Rosa Verona ed altri) si presta così a diventare presenza viva e reale, protagonista essa stessa non solo di un'avventura plastica ma soprattutto di vicende legate alla stessa storia dell'uomo, in una spazialità che sia quanto più vicina possibile a quella dell'uomo d'oggi che è dinamica e polivalente, lontana da ogni esecuzione che alla labilità sperimentale voglia ispirarsi. L'artista continua così, nella ricerca di una pulizia formale assoluta che lascia emergere una irreprimibile sensualità della materia, pur levigatissima e gli stessi elementi di una figura