RECENSIONI
C’è sempre un punto, negli oli di Stefania, d’angolo e primo piano, da cui nasce la visione e a cui ritorna, come un viaggio circolare che dalle cose attraversa l’anima e si dilata, e alle cose riapproda colmandole di significato. Una presenza forte, intensamente materiale e accesa, che diventa insieme chiave e sigillo della rappresentazione. Una macchia fiorita, un ficodindia, un cespuglio d’erba – ma più spesso, con la carica sottilmente emblematica della natura morta barocca, frutta, agrumi e melagrane, conchiglie e coralli, legni dipinti e scolpiti, strumenti musicali, e soprattutto vasi. Oggetti cardine e radice, tanto levigati e splendenti da sembrare tagliati nella luce – tanto iperreali, a volte, da capovolgersi istantaneamente nell’immaterialità. Colti al confine, al passaggio.
Da qui scaturiscono attimi folgoranti e visionari (non sogni, nonostante le citazioni onirico-surreali) che – condensando percezione ed emozione, memoria e pensiero – trasfigurano il reale. La dama bianca, Principesca, Sogno di una sagra di fine estate, dove il paesaggio architettonico si disfa nella ricchezza esplosiva della materia colorata. Dal caldo al freddo, dal rosso al sanguigno, al giallo, a una polvere d’oro acceso, al blu fino agli azzurri più tersi ed evanescenti – una gamma infinita di toni che il gesto veloce, ampio e sicuro, restituisce sempre al massimo grado di intensità luminosa. In altre tele, come Estate o Fiaba Siciliana, è l’estrema limpidità degli oggetti e il nitore tagliente della luce a generare, per eccesso, la trasfigurazione. In un contesto vagamente magrittiano (un Magritte diversamente accentato, femmina e meridionale), il colore spinto, tendente all’acido – apparentato per un verso all’arte sacra dei grandi manieristi e per un verso all’espressionismo dell’arte popolare – oltrepassa i limiti del reale, stravolgendolo nell’incorporeità.
Una speciale metafisica, meditativa e carica di passione, che non ha bisogno della figura umana, tanto che a volte la ragione della sua sporadica rappresentazione sembra risiedere semplicemente nella necessità interna di un tono caldo offerto dall’incarnato. Un solo oggetto o una sola parete dipinta – si veda la ricchezza dell’impasto cromatico e luminoso nel Portone di Mineo, o Via Trieste – spalancano un universo e parlano da soli.
All’interno della sua scelta figurativa dunque, Stefania non imita, né racconta. Potenzia ed evoca.
Cinzia Farina