RECENSIONI
“Nelle sue silenziose composizioni, che spesso si pongono in una luminosa e sottile dialettica con le realtà del paesaggio pugliese, la pittura di Marinò si allontana dal puro descrittivismo, dall’impulso a rappresentare quel “vero” di natura, che spesso è una pura illusione, un miraggio della mente e dello sguardo. Al contrario e con intelligenza l’artista privilegia nel confronto con il paesaggio l’eleganza dell’allusione, del suggerimento implicito, dello scavamento pittorico che diventa psicologia, dialogo interiore. In questo senso la sua pittura sembra evocare una sua intima realtà visiva, solenne e quasi sacrale, come un affiorare alla coscienza di valori perenni ed imperscrutabili ma che tuttavia scandiscono il tempo dell’esistenza.” (Teodosio Martucci)
“Piero Marinò vive i paesaggi e le campagne del Sud, con l’occhio educato dallo studio degli artisti e degli storici, documentando tutto con migliaia di fotografie. I modi di vita scomparsi, la perduta civiltà contadina e degli antichi mestieri. Con la voglia inesauribile di trasmettere le emozioni provate davanti ai segni più antichi, la sorpresa e lo stupore di sempre suscitati dal dolmen perso nella campagna, dal muretto di pietre in rovina, dalle ginestre in fiore che accendono di giallo le macchie di lentisco, dagli alberi piegati dal vento, dagli ulivi secolari, contorti, gonfi e squarciati, con grandi tronchi e rami delicati, con foglie che si perdono nell’aria e nella luce” (Francesco Semeraro)
“Osservando con interesse il percorso artistico di Piero Marinò, dal passato all’oggi, volutamente trattenuto nel paesaggio pugliese e nell’intreccio dialettico condotto al gesto pittorico, si denota un rapporto vincolante di natura e cultura, unicamente nell’autonomia significante del colore, ove si ravvisa un sapore malinconico di raffinata eleganza poetica. Nei suoi dipinti su cui soggiornano l’intensità emozionata del rilievo e instabili filamenti, giustapposti sul terreno scosceso delle gravine e della pietra dura della Murgia, celate crescenze emettono, nel bisogno di luce, rumori e pulsazione nella composta osservazione di un paesaggio inventato eppure riconducibile alla realtà. Soggetto pressoché esclusivo, indagato nelle innumerevoli esplicite forma naturali, è l’ulivo pugliese e forse ancor più il paesaggio su cui campeggiano cripte rupestri, luoghi simbolici dell’iconografia cristiana che nelle tele di Marinò ritrovano dignità e forza. L’aspetto originario costantemente evocato, nei dipinti di Piero Marinò, è il frutto coscienziale di un artista il cui sguardo sulla realtà anima l’azione etica dell’arte, con opere sorgive di genere figurale e vedutistico, con riferimenti e particolari che intersecano nelle invenzioni paesaggiste, tra vero e reale immaginario, il morboso attaccamento alla sua terra. Nel corpo vivo della narrazione poetica l’artista si fa interprete di una ‘trascrizione’ ove l’ambiente, la sua bellezza, il suo ordine naturale, il frutto di un sentire storico e antropologico sono raccordati alla storia di colui che non separa l’arte dalla vita” (Dino Del Vecchio)