RECENSIONI
Antonio De Santis, il colore e la forma
Alberico Sala
Se ripenso alle stagioni della provincia lombarda, alle fatiche che, di solito pochi isolati consumano per tener vivo fra la gente, il sentimento della poesia e dell''arte, spontaneamente, fra Bergamo e Treviglio, contro il verde, dentro la nebbia, affiora la gran barba di Antonio De Santis, scrittore e pittore, critico d''arte, operatore culturale, come si dice, senza intaccare la qualità del suo fervore. Ma, io credo che, fra i linguaggi disponibili per la sua sensibilità, quello della poesia sia stato il primo ad essere tentato. Ed, allora, mi ha colpito, scorrendo la sua biografia, stampata in uno dei cataloghi delle ormai folte personali in Italia efuori, il fatto ch''egli, alla fine degli anni Sessanta, abbia studiato a Faenza, nel collegio dei Salesiani. La memoria è subito corsa ai fogli del Tacuinetto faentino dell''autore dei Canti orfici, il grande, "maledetto" Dino Campana. Sono pagine, appunti, lacerazioni, fulminazioni seminate fra cultura in fermento e sensibilità; fino alla violenza, gremita di colori, che riflettono i moti del mistero dell''essere. E'' un gioco fertile, scattano le illuminazioni, rileggere i frammenti, gli appunti, i gridi del Campana faentino, (forse gli incunabuli degli stessi Canti), trattenendo negli occhi le forme, il segno, i colori di Antonio De Santis, faentino nel tempo in cui il sangue ed i pensieri prendono il corso della vita. E'' una rete, una trama di corrispondenze e di echi, di suggestioni dell''espressione dell''eros e della carnalità dalla forza dei colori alla visionarietà. Le citazioni potrebbero infittirsi. "E un volto come una maschera"; non solo nasconde, ma rivela (si pensi ai personaggi di De Santis che sembrano ignorarsi, ma influenzano decisamente l''ambiente che li contiene, persino i paesaggi). Altri sono meno lirici e più meditati, proprio sull''evento artistico: "Il valore dell''arte non sta nel motivo ma nel collegamento e quindi nel punto di fusione si ha la grande arte: e la grande arte come la grande vita non è che un ponte di passaggio". Dopo una visita al museo di Faenza, Campana scrive "simbolismo naturalistico", che è definizione da non mortificare troppo, se riferita a determinati tempi di ricerca di De Santis. Così come l''annotazione: "animali di una bellezza assai dubbia ma di una attrattiva tutta bestiale", potrebbe suscitare certe creature femminili del pittore. Uno degli estremi appunti: "Nel fuggire la stretta oppressione dei contrari si crea l''arte". La riflessione tocca la costanza del lavoro di De Santis, la ricerca senza esagerati ossequi, o inerti filtrazioni, controllate sempre dalla sua cultura figurativa, dalla sperimentazione personale, aperta al contributo degli altri, e resa più viva dal privilegio del dubbio. Così i riferimenti estetici che si possono cogliere lungo il suo percorso, dalla genesi informale, con la predilezione per la natura morta e il paesaggio, la memoria della costruttività cèzanniana, alla nuova figurazione, non sono mai di stretta, ortodossa osservanza. Appaiono, piuttosto, come momenti di analisi, atti di un processo creativo in fieri, aspetti di un work in progress, che persegue una soluzione autonoma, insieme tematica e formale. Un esito di "buona pittura", per citare la definizione di un vero pittore, il bergamasco, maestro della Carrara, Trento Longaretti, che rendeva, già anni fa, omaggio alla "intensità cromatica, unita ad una larghezza compositi va nei paesaggi inventivi, per nulla descrittivi, anzi evocativi, fantastici liberissimi" di Antonio De Santis. Concludeva che egli era "sulla strada giusta". La strada che passa attraverso i "ponti di passaggio" annunciati da Campana, e ha portato De Santisa questa più recente stagione figurale, in cui, come è stato giustamente osservato, è l''indagine psicologica, la partecipazione esistenziale a determinare la forma, la stessa materia pittorica. Bisogna aggiungere l''influenza del colore, preminente nel veneziano Antonio De Santis. Introspezione psicologica e tensione cromatica strutturano le sue opere .La deformazione diviene rivelazione ed allarme, l''assenza una denuncia. Gli echi letterari si affollano. Ma, la pittura di De Santis ha in sé ragioni specifiche per giustificarsi. Nè vanno dimenticati i contributi dei disegni, in cui l''ideagerminante si manifesta, annuncia il dipinto. Dunque, il nostro artista, è sulla "strada giusta"; con le carte e le tele in regola.
Anthony Harris
Le riproduzioni dei quadri di Antonio De Santis richiedono che ricerchi di più a riguardo di questo artista di talento.
Per me i lavori di De Santis evocano il vero spirito e le grandi tradizioni dei quadri figurativi italiani. Per esempio le monumentali forme e le umane emozioni rappresentate in "La morte del burattinaio" mi ricordano i grandi cicli degli affreschi di Giotto e Masaccio. La stessa potente semplicità fuori esce da lavori come il "Dialogo" e "Il signore della luna", oltre a questi paragoni, comunque, esiste un chiaro stile personale che è, forse, più apparente nei paesaggi. Una ricerca che riassume l''essenziale struttura della Natura non poteva essere più chiaramente espressa che nel "Paesaggio molisano", dove (anche in una impressione monocromatica) la relazione tra terra e cielo, tenuti uniti in una visione aerea, produce una monumentale immagine, realizzata con molta delicatezza e semplicità.
Trento Longaretti
Rosso infuocato, dal cadmio al saturno, dal cromo al carminio, steso a grossi spessori sulla tela come magma nel piacere della bella materia di tavolozza: ecco la dominante di un dipinto che da giorni squilla nel mio studio. E'' un''opera recente di Antonio De Santis, pittore e scrittore ed altro ancora. (...) Ritornando al nostro De Santis, dopo questa digressione necessaria non solo nei suoi confronti ma di tutta la mentalità purtroppo ancora diffusa, pittore che si compiace, come giusto, del bel dipingere, a me sembra che questa intensità cromatica, unita ad una larghezza compositiva nei suoi paesaggi che sanno molto d''invenzione e per nulla descrittivi, anzi evocativi, fantasiosi, liberissimi, sia sulla strada giusta, alla ricerca di quella "buona pittura" che per lui e per noi è tutto ciò che conta.
Jacopo Giliberto
Il Realismo Astratto di De Santis propone una fusione fra due differenti stili. L''immagine, il disegno. è un supporto (un "contenitore") per i colori, vera struttura del quadro. Attraverso gli aspetti realistici il pittore può trovare le più differenti fonti di ispirazione e all''osservatore è proposto un primo, più facile gradino di lettura dell''opera artistica. I quadri di De Santis nascono perciò dal colore, come peri primi astratti. Sopra il colore, De Santis aggiunge linee nere che contornano le figure. E'' il contrario dello stile figurativo, che pone sulla tela prima il disegno che poi verrà coperto dai colori. L’immagine, in questo modo, viene creata soltanto alla fine. Ecco il procedimento del realismo astratto.
Mi piace, di Antonio De Santis, la sintesi che da un volto trae una forma
pura, come per negare, in un ritratto, lo storico dissidio tra figurativo e
astratto; e mi piace, allo stesso modo, l’astuzia con la quale da una forma
pura trae un volto. E non contento, De Santis procede come un intarsiatore di
pietre dure che persegue una perfezione fatta di incastri dissimulati con
straordinaria naturalezza. Ciò che infine rende unico il suo procedimento
compositivo è che da tale perfezionata elaborazione, dove ogni cosa sta
impeccabilmente al suo posto, derivano un umore, una vitalità, uno spirito,
che non hanno nulla di meccanico come è nel ritratto legato alla
deformazione, alla libertà del segno. Egli non altera, non accentua, non
irrigidisce, applica una norma. La storica dichiarazione hegeliana: «Tutto
ciò che è reale è razionale» si estende a un limite imprevisto, a una misura
del mondo. Per De Santis tutto ciò che è reale è ritraibile. E